I numeri della nuova “superpopolare”

I numeri della nuova “superpopolare”
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«Un piano serio, sfidante, ambizioso ma non velleitario». Così il consigliere delegato di Bpm Giuseppe Castagna ha riassunto il piano industriale per la fusione tra Banco Popolare e Banca popolare di Milano, presentato ufficialmente lunedì agli analisti finanziari e alla stampa. Un piano che - ha ricordato l’ad del Banco Pier Francesco Saviotti (tra i primi a credere, «in tempi non sospetti», alla fusione) - porterà il neonato istituto ad essere il 3° gruppo bancario in Italia (per numero di filiali, crediti netti verso la clientela e raccolta diretta ed indiretta), servendo 4 milioni di clienti attraverso una rete distributiva estesa e complementare ed un modello distributivo multicanale, e beneficerà di una posizione di leadership nel Nord Italia ed in particolare in regioni produttive quali Lombardia, Veneto e Piemonte (con quote di mercato rispettivamente pari a circa il 16%, 10% e 13%). E, ha aggiunto Castagna, «il nostro target non è quello di rimanere al terzo posto, ma di porci in competizione con le altre banche».1,1 miliardo di utile al 2019,  sinergie per 460 milioni di euro, derivanti per 140 milioni da interventi di riduzione del personale e altri 110 da risparmi sui costi operativi, razionalizzazione delle duplicazioni di spesa, incremento del potere contrattuale e riduzione del numero di filiali. Sono alcuni dei “numeri” del piano della fusione, che contempla anche costi di integrazione per 480 milioni di euro, che si prevede «siano pienamente sostenuti entro il 2018».Il piano industriale prevede una riduzione del numero di filiali, che passeranno dalle 2.417 del 2015 a quota 2.082 nel 2019, con la prospettiva in futuro di arrivare a un numero tra le 1.800 e le 1.900. “Stretta” anche sul personale: 1.800 gli esuberi (tutti volontari) nel triennio, mentre per altri 800 dipendenti è prevista la ricollocazione in nuovi ruoli. E per il Novarese cosa cambia? «1.800 esuberi volontari in tre anni su oltre 25.000 dipendenti - commenta il vicepresidente del Banco Popolare, il novarese Maurizio Comoli  - sono numeri non impattanti. C’è sì una tendenza alla riduzione e alla razionalizzazione, ma sempre con buon senso. In un’ottica di efficientamento».Comoli tiene però a puntualizzare un aspetto: un dato positivo della fusione sarà che «dalla sinergia nasce una banca che a regime salirà di livello, sia come struttura patrimoniale, sia come servizio alla clientela, che potrà essere molto più mirato». Ma fusione (e dunque razionalizzazione) non significa «abbandonare il nostro modello di riferimento, che è sempre stato basato sulla presenza massiccia sui territori d’elezione. Il nostro Dna di banca del territorio non sarà snaturato». Quanto alla Divisione di Novara, «non corre alcun rischio - assicura Comoli - Anzi, risulterà potenziata in quanto ingloberà anche Alessandria».Laura CavalliLeggi di più sul Corriere di Novara di giovedì 19 maggio 2016 

«Un piano serio, sfidante, ambizioso ma non velleitario». Così il consigliere delegato di Bpm Giuseppe Castagna ha riassunto il piano industriale per la fusione tra Banco Popolare e Banca popolare di Milano, presentato ufficialmente lunedì agli analisti finanziari e alla stampa. Un piano che - ha ricordato l’ad del Banco Pier Francesco Saviotti (tra i primi a credere, «in tempi non sospetti», alla fusione) - porterà il neonato istituto ad essere il 3° gruppo bancario in Italia (per numero di filiali, crediti netti verso la clientela e raccolta diretta ed indiretta), servendo 4 milioni di clienti attraverso una rete distributiva estesa e complementare ed un modello distributivo multicanale, e beneficerà di una posizione di leadership nel Nord Italia ed in particolare in regioni produttive quali Lombardia, Veneto e Piemonte (con quote di mercato rispettivamente pari a circa il 16%, 10% e 13%). E, ha aggiunto Castagna, «il nostro target non è quello di rimanere al terzo posto, ma di porci in competizione con le altre banche».1,1 miliardo di utile al 2019,  sinergie per 460 milioni di euro, derivanti per 140 milioni da interventi di riduzione del personale e altri 110 da risparmi sui costi operativi, razionalizzazione delle duplicazioni di spesa, incremento del potere contrattuale e riduzione del numero di filiali. Sono alcuni dei “numeri” del piano della fusione, che contempla anche costi di integrazione per 480 milioni di euro, che si prevede «siano pienamente sostenuti entro il 2018».Il piano industriale prevede una riduzione del numero di filiali, che passeranno dalle 2.417 del 2015 a quota 2.082 nel 2019, con la prospettiva in futuro di arrivare a un numero tra le 1.800 e le 1.900. “Stretta” anche sul personale: 1.800 gli esuberi (tutti volontari) nel triennio, mentre per altri 800 dipendenti è prevista la ricollocazione in nuovi ruoli. E per il Novarese cosa cambia? «1.800 esuberi volontari in tre anni su oltre 25.000 dipendenti - commenta il vicepresidente del Banco Popolare, il novarese Maurizio Comoli  - sono numeri non impattanti. C’è sì una tendenza alla riduzione e alla razionalizzazione, ma sempre con buon senso. In un’ottica di efficientamento».Comoli tiene però a puntualizzare un aspetto: un dato positivo della fusione sarà che «dalla sinergia nasce una banca che a regime salirà di livello, sia come struttura patrimoniale, sia come servizio alla clientela, che potrà essere molto più mirato». Ma fusione (e dunque razionalizzazione) non significa «abbandonare il nostro modello di riferimento, che è sempre stato basato sulla presenza massiccia sui territori d’elezione. Il nostro Dna di banca del territorio non sarà snaturato». Quanto alla Divisione di Novara, «non corre alcun rischio - assicura Comoli - Anzi, risulterà potenziata in quanto ingloberà anche Alessandria».

Laura Cavalli

Leggi di più sul Corriere di Novara di giovedì 19 maggio 2016