Un Otello “riletto”, di parole e note
NOVARA – Il pubblico del Coccia li aveva “gustati” nel 2013 con il loro “Oblivion Show 2.0: il sussidiario”. Ora tornano a deliziarci con “OtHello, la H è muta…”. Sono loro, gli Oblivion! Al secolo Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli. Un vero fenomeno, esploso in rete e poi andato alla conquista dei palcoscenici di tutta Italia. Sono loro che hanno condensato i Promessi Sposi in dieci minuti. E la Divina Commedia in sei. Capolavori che hanno saputo far amare sotto un’altra luce. Quella dei riflettori. L’appuntamento è al Teatro Coccia è domani, venerdì 13 marzo, alle 21 per la rassegna “Comico d’autore”. A Novara questa volta si cimentano con l’Otello, di Shakespeare e di Verdi. Ma non ci saranno solo il grande scrittore inglese e il Cigno di Busseto… La loro è una satira (anche di costume) che gioca con la musica, il teatro, la comicità e una preparazione tecnica vocale di alto livello, pescando in un bagaglio musicale (ormai) lungo secoli.
NOVARA – Il pubblico del Coccia li aveva “gustati” nel 2013 con il loro “Oblivion Show 2.0: il sussidiario”. Ora tornano a deliziarci con “OtHello, la H è muta…”. Sono loro, gli Oblivion! Al secolo Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli. Un vero fenomeno, esploso in rete e poi andato alla conquista dei palcoscenici di tutta Italia. Sono loro che hanno condensato i Promessi Sposi in dieci minuti. E la Divina Commedia in sei. Capolavori che hanno saputo far amare sotto un’altra luce. Quella dei riflettori. L’appuntamento è al Teatro Coccia è domani, venerdì 13 marzo, alle 21 per la rassegna “Comico d’autore”. A Novara questa volta si cimentano con l’Otello, di Shakespeare e di Verdi. Ma non ci saranno solo il grande scrittore inglese e il Cigno di Busseto… La loro è una satira (anche di costume) che gioca con la musica, il teatro, la comicità e una preparazione tecnica vocale di alto livello, pescando in un bagaglio musicale (ormai) lungo secoli.
Ci stupirete ancora con effetti speciali?
«Cerchiamo di sorprendere, di essere il meno prevedibili possibile – ci racconta Lorenzo Scuda -. Il nostro segreto è quello di cambiare linguaggio e formula ogni tot minuti. Le solite parodie ma con canzoni cambiate, i duetti con strumenti che conoscete e altri con strumenti nuovi. Ci sono il mimo e la danza classica. In una scena Otello e Iago ambientano il copione nelle colonne sonore di celebri film. La storia segue il percorso e la tensione classica di Verdi e Shakespeare ma divaga in tanti linguaggi. Una scommessa. Partendo dalla trama che vuole dare coesione allo spettacolo, ma uno spettacolo in evoluzione. E questo diventa uno stimolo importante. Nel varietà puoi togliere e mettere a piacimento, qui invece hai una trama da rispettare per cui far quadrare il cerchio è più difficile. Ma è proprio questo che ci dà maggiore soddisfazione».
Perché proprio Otello?
«Lo spettacolo è nato nel 2013, anno del bicentenario della nascita di Wagner e Verdi. 200 e 200 quindi 400. Aggiungiamo i 10 anni degli Oblivion. E fanno 410. Da 2013 togliamo 410, ci rimane 1603, anno in cui Shakespeare ha scritto Otello. Una serie di coincidenze. Per la prima volta abbiamo provato a capire il futuro partendo dai numeri. E poi Otello è una storia che si presta alla parodia. Tra elementi tragici e divertenti. Abbiamo ridotto i personaggi, da dieci e cinque. E abbiamo visto, già nel primo abbozzo, che stava in piedi lo stesso».
Come sempre vi rivolgete a un pubblico senza età.
«Uno spettacolo, come gli altri, a più livelli. Un primo per tutti. Poi un secondo con tante citazioni: e chi ha strumenti in più, per ragioni anagrafiche e non solo, se la gode maggiormente. Questa volta abbiamo alzato l’asticella. Fare comicità è più facile quando l’argomento è condiviso, su Ikea e McDonald’s è semplice. Noi vogliamo farla sulla storia e anche sulle note, ma diventa più complesso prendere in giro parole e musica se gli spettatori hanno una vaga idea dell’Otello di Shakespeare o di quello Verdi. Ecco la sfida. Giocare sulla storia e fare i baffi ai quadri, a Shakespeare e Verdi con quell’affetto che deriva dallo studio dei grandi affinché non scompaiano in un baule polveroso ma siano sempre vivi. I testi di Shakespeare sono rifatti e trasformati con le canzoni di Ligabue e Vasco, immaginando come sarebbero se scritti con i linguaggi di oggi. Allo stesso modo le arie di Verdi vengono riviste e mixate con il coro della Champions League, Freddy Mercury e l’Hully Gully. Se il pubblico ride di un monologo che non conosce allora la sfida è vinta»
La vostra è anche una operazione culturale. Avvicinate ai classici, ai grandi capolavori del passato persone che altrimenti ne sarebbero lontane.
«Si è persa l’abitudine di andare a teatro. Noi ci rivolgiamo a chi a teatro non va e anche ai giovani. In rete ci seguono in tanti che in un teatro non hanno mai messo piede. Ci chiedono dove trovare i biglietti per i nostri spettacoli, credendo ci sia una prevendita unica, come per Jovanotti. E noi li invitiamo a cercarli nella loro città. Un bel segnale comunque».
Un sogno nel cassetto?
«Produrre uno spettacolo ad hoc per l’estero. Finora solo piccole esperienze. Siamo stati a Los Angeles, il pubblico si è divertito, c’era la parodia di Avatar, anche se non so cosa abbiano capito, nella nostra lingua. Ora vorremmo calibrare lo spettacolo su una cultura più internazionale, per far divertire con i nostri strumenti una platea non italiana. La prossima frontiera».
E per chiudere uno slogan con cui invitare a teatro gli indecisi?
«La nostra più grande frustrazione è la sensazione che il teatro non sia importante, sia un’esperienza confinata a chi l’ha vissuta. Il bel film fa parlare, nei salotti e sui social, mentre uno spettacolo teatrale è confinato al passaparola, non sembra importante. Invece lo è quanto un film, un festival o un disco. C’è sempre tanto lavoro dietro. Questo è il terzo anno per Otello. Ha ancora tanto da dire, non può andare in pensione. Ecco lo slogan. Anche a teatro succedono cose importanti ogni tanto. Una lavorata pazzesca. A prescindere dal gradimento».
Eleonora Groppetti