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Margherita Zanetta: "Non vediamo malati, ma persone che vogliono un’esistenza piena fino all’ultimo loro istante"

Da soli non si può ma insieme si riesce.

Margherita Zanetta: "Non vediamo malati, ma persone che vogliono un’esistenza piena fino all’ultimo loro istante"
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Persone, non malati. I volontari di Ideainsieme vedono questo mentre parlano, sorridono, tengono la mano ai pazienti delle Cure palliative.

Margherita Zanetta

La presidente dell’associazione, nata a Novara nel 2004, è Margherita Zanetta, una donna che non ama apparire e che come testimonial per  i vent’anni di Fondazione Comunità Novarese avrebbe scelto una volontaria «giovane e carina». Invece è toccato a lei e lo scatto rivela l’essenza di quello che fa: esserci, stare accanto, con discrezione, ma anche con determinazione, competenza e solidità. Lei così come tutti i volontari, perché da soli non si può, ma insieme si riesce.

Quali sono i vostri rapporti con Fondazione Cariplo e Fondazione Comunità  Novarese?

«Con Fondazione Cariplo abbiamo rapporti indiretti, molto intensi quelli con Fcn: abbiamo avuto la fortuna di creare negli anni un legame forte con persone gradevoli e interessate. Non sono “solo” erogatori di fondi, ma partecipi dei progetti e questo dà anche a noi una carica in più. In questo periodo di paura per noi, per l’associazione, per i malati, sono arrivate le mail di Fcn, di Sara che ci segue, che ci chiedevano come stessimo, se avessimo bisogno di qualcosa: non è così abituale e scontato che accada e ci siamo sentiti meno soli».

Quali i progetti che Fcn supporta?

«Noi come volontari non abbiamo bisogno di finanziamenti, ma le figure professionali con incarico annuale che garantiamo ai malati, vanno giustamente retribuite. Sono due psicologi, un Oss, una dietista e tre fisioterapisti: un’équipe importante. Investiamo poi in macchinari: abbiamo già acquistato un ecografo portatile e stiamo valutando per il secondo. Mettiamo a disposizione letti ospedalieri, materassi anti decubito, sedie a rotelle per garantirle in tempi più rapidi rispetto all’Asl. Poi, garantiamo la formazione con un corso di 36 ore e il mantenimento con la supervisione, partecipiamo a congressi, finanziamo master per medici e infermieri. Insomma, la sinergia con Fcn è forte».

Quanto ha pesato e pesa questo periodo covid?

«Tantissimo, ci sentiamo e siamo inutili perché non possiamo svolgere il nostro volontariato e non sappiamo ancora per quanto. Solo quando la “sicurezza sarà totale” potremo tornare in hospice e in ospedale, ma è difficile ipotizzare. Occorre attendere un vaccino? L’autunno porterà una nuova ondata? Non sappiamo, come non sanno nulla di certo i medici. Non ci sono alternative per noi, al momento, ma ci dispiace. Spiace sapere che i malati non possono avere il nostro confronto, ma soprattutto quello dei loro cari. Una delle nostre psicologhe si è resa disponibile per supportare il personale dei reparti covid e noi ci incontriamo sulla piattaforma zoom, per stare vicini. Abbiamo anche ipotizzato un sostegno telefonico ai famigliari dei malati, ma è un discorso complesso avvicinare, senza la presenza, persone che non ci conoscono: la speranza e la volontà però non mancano».

Siete un gruppo di volontari molto coeso, ne cercate di nuovi?

«Certo, ma in questo periodo non facciamo partire nuovi corsi. Abbiamo cinque nuovi volontari che avevano completato il tirocinio ed erano pronti per andare avanti da soli e invece tutto si è fermato... Sono molto motivati, non credo ci sia il rischio di “perdere” qualcuno, però il rimanere sospesi non aiuta».

Ci sono volontari che scelgono Ideainsieme dopo aver avuto un famigliare malato? Che “genere” di volontari siete?

 

«Tanti ci hanno conosciuto in queste situazioni. Serve il giusto stacco tra il lutto e il corso di formazione. Nessuno di noi deve sentirsi “importante”: i medici aiutano il malato, noi possiamo esserci, ascoltare, prendere una mano. Non sempre è facile, ma al di là dei momenti di sofferenza violenta, i malati hanno voglia di raccontare la loro vita passata, di riaffermare il proprio essere persona, far riaffiorare il bello del vissuto. Una vita piena fino all’ultimo istante. Fondamentale far sentire l’altro non un malato, ma una persona».

Ha mai pensato di dire basta?

 

«Mai. Ci sono momenti di sconforto o di difficoltà, ma siamo un gruppo coeso e il problema di uno diventa il problema di tutti: viene condiviso, affrontato, superato. Se con un paziente non si entra nella giusta sintonia, si cambia.  Ci sentiamo più forti, insieme».

Un augurio per il futuro?

«Speriamo che questo periodo ci abbia reso migliori, capaci di pensare più agli altri: magari così troveremo tanti nuovi volontari!».

 

 

Erica Bertinotti
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