Truffa con metodi mafiosi: tocca anche il Novarese l'operazione "Nuova frontiera"

I carabinieri di Venezia hanno iscritto nel registro degli indagati 60 persone

Truffa con metodi mafiosi: tocca anche il Novarese l'operazione "Nuova frontiera"
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I carabinieri di Venezia hanno iscritto nel registro degli indagati 60 persone

Coinvolge anche il territorio della provincia di Novara un'operazione del comitato provinciale dei carabinieri di Venezia, portata a compimento nella mattinata di oggi, mercoledì 8 marzo. L'operazione è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, era iniziata nel 2013, e ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati di 60 persone, coinvolte a vario titolo nel reato di associazione per delinquere finalizzata alle consumazione di truffe, anche in danno di istituti di credito e finanziari, bancarotte fraudolente, indebiti utilizzi di carte di credito e di prelievo di carburanti, ricettazione, riciclaggio e violenza privata, con l’aggravante, per diversi di essi, di aver agito avvalendosi delle condizioni descritte dall’art.416bis c.p. (metodo mafioso), anche al fine di agevolare l’organizzazione criminale della “Ndrangheta” calabrese, attraverso le sue articolazioni. Circa 60 le perquisizioni disposte in varie Regioni d’Italia, tra cui Calabria e Veneto, tutt’ora in corso di esecuzione, nei confronti di ricettatori e fiancheggiatori a vario titolo.
Oltre 150 risultano le imprese truffate, il cui danno complessivamente patito si aggira intorno ai cinque milioni di euro.

Il modus operandi passava attraverso l’individuazione e conseguente acquisizione di società in difficoltà finanziaria operanti nel nord Italia, tramite intestazione delle stesse a prestanome, al fine di presentarsi sul mercato come affidabili partner commerciali; la perpetrazione, tramite le citate ditte, di truffe sistematiche ai danni di fornitori, nonché di istituti di credito e finanziari, per valori commerciali elevati (si stima un volume di affari sull’ordine di oltre 12 milioni di euro); la successiva chiusura delle società utilizzate per le operazioni criminose tramite l’istituto della bancarotta, nel volgere di brevi periodi (circa 90 giorni) al fine di sfuggire alla reazione delle vittime e alle ricerche degli investigatori; la ricollocazione nel mercato, nella fattispecie quello calabrese attraverso una vasta e documentata rete di ricettatori del luogo, alcuni dei quali contigui alle cosche, di centinaia di tonnellate di prodotti della più disparata tipologia (generi alimentari, latticini, frutta, materiali per l’edilizia e l’idraulica, gruppi elettrogeni, container refrigeranti, ecc.); il riciclaggio dei proventi illeciti attraverso società di leasing inconsapevoli, cui chiedevano servizi funzionali alle attività; l’indebito utilizzo di carte carburanti intestate a flotte aziendali inesistenti, utilizzate per l’effettuazione dei rifornimenti di carburante e la rivendita clandestina del prodotto petrolifero illecitamente acquisito.

Gli arrestati sono: Michelangelo Garruzzo, 56enne originario di Rosarno (RC) ma da tempo trapiantato in provincia di Treviso; Antonio Anello, 63enne originario di Curinga (CZ), ma solito dimorare, con i suoi familiari, tra Calabria e Veneto. Le altre persone, ritenute sodali dei predetti e oggi raggiunte dalla misura cautelare dell’obbligo di dimora e della presentazione alla polizia giudiziaria sono: F. S., 70enne di Pescara; A. D., 32enne di Curinga (CZ); P. R., 34enne di Curinga (CZ); G. S., 31enne di Rosarno (RC); G. C., 47enne di Rosarno (RC), quest’ultimi considerati, unitamente ad altri sodali, il “braccio operativo” del sodalizio. Quanto alla contiguità con le cosche calabresi, in particolare, i due destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere risultano, oltre che essere gravati da precedenti penali specifici e da pendenze giudiziarie, anche essere contigui a cosche riconducibili all’associazione mafiosa denominata ‘Ndrangheta, in particolare: Michelangelo Garruzzo: contiguità con la “cosca Pesce” di Rosarno (RC); Antonio Anello: contiguità alla cosca “Fiarè” di San Gregorio d’Ippona (VV), alleata del “Clan Mancuso” di Limbadi (VV). Con la presente indagine ad ANELLO Antonio è stata contestata, tra l’altro, anche l’aggravante specifica prevista dall’art.71 del Codice Antimafia, per aver continuato a commettere reati, sotto il vincolo associativo, nel triennio successivo alla cessazione degli effetti della misura di prevenzione personale, essendo stato sottoposto sino a settembre 2011 alla sorveglianza speciale di P.S. disposta dal Tribunale di Catanzaro.