Prima di scegliere l’eutanasia, Dominique Velati era volontaria con i malati terminali

BORGOMANERO – Dominique Velati, l’infermiera 59enne di Borgomanero che ha scelto la strada dell’eutanasia, è stata per anni una volontaria di “La Scintilla”, onlus che si occupa di cure palliative e assistenza ai malati terminali. A parlare di lei è Dino Cardillo, presidente dell’associazione, con delle parole riprese su Facebook da altri componenti della stessa onlus: “La Dominique, oltre che amica è stata un'instancabile volontaria, piena di mille attenzioni per le persone a lei affidate. Il destino ha voluto farle provare fino in fondo e di persona l'esperienza delle cure palliative, la paura, l'ansia e la necessità delle scelte del fine vita.
Ha aiutato negli scorsi anni tanti malati e tante famiglie nel percorso della malattia inguaribile; ha accompagnato per mano molte persone nel momento più difficoltoso della propria vita insieme a medici ed infermieri delle cure palliative dell'Asl No, cercando di evitare l'esperienza dell'accanimento terapeutico o dell'abbandono, senza mai far pesare la sua personale opinione, ma offrendo un sostegno incondizionato e non ideologico”.
Con lo stesso dottor Cardillo, Dominique Velati si è confrontata sulla sua malattia, un cancro al colon che aveva già intaccato altri organi vitali. “Ho cercato di non dare soluzioni preconcette, ma gli elementi per poter decidere con serenità come affrontare la scelta da prendere, assicurandole comunque che non sarebbe mai stata abbandonata nella sofferenza”. Ma Dominique ha scelto un’altra strada come da lei stessa reso noto, con un’intervista alla trasmissione “Servizio Pubblico”, rilasciata poche ore prima di partire per la clinica svizzera dove è possibile praticare la “dolce morte”.
“Avremmo voluto, per l'affetto che le portiamo, che fosse rimasta con noi sino all'ultimo, non anticipando neppure di un giorno la morte, seppur incombente, che non avesse rinunciato a lottare – continua Cardillo - Ma forse, come il parente che non sa rassegnarsi alla fine ineluttabile del proprio congiunto, forse avremmo sbagliato.
Vorremmo comunque che la medicina palliativa si sviluppasse sempre più in Italia, perché nessuna delle decisioni del paziente nel morire debba essere influenzata da scelte dettate dalla disperazione della sofferenza, o trovasse nella paura della stessa, motivo di una
scelta”.
l.pa.
BORGOMANERO – Dominique Velati, l’infermiera 59enne di Borgomanero che ha scelto la strada dell’eutanasia, è stata per anni una volontaria di “La Scintilla”, onlus che si occupa di cure palliative e assistenza ai malati terminali. A parlare di lei è Dino Cardillo, presidente dell’associazione, con delle parole riprese su Facebook da altri componenti della stessa onlus: “La Dominique, oltre che amica è stata un'instancabile volontaria, piena di mille attenzioni per le persone a lei affidate. Il destino ha voluto farle provare fino in fondo e di persona l'esperienza delle cure palliative, la paura, l'ansia e la necessità delle scelte del fine vita.
Ha aiutato negli scorsi anni tanti malati e tante famiglie nel percorso della malattia inguaribile; ha accompagnato per mano molte persone nel momento più difficoltoso della propria vita insieme a medici ed infermieri delle cure palliative dell'Asl No, cercando di evitare l'esperienza dell'accanimento terapeutico o dell'abbandono, senza mai far pesare la sua personale opinione, ma offrendo un sostegno incondizionato e non ideologico”.
Con lo stesso dottor Cardillo, Dominique Velati si è confrontata sulla sua malattia, un cancro al colon che aveva già intaccato altri organi vitali. “Ho cercato di non dare soluzioni preconcette, ma gli elementi per poter decidere con serenità come affrontare la scelta da prendere, assicurandole comunque che non sarebbe mai stata abbandonata nella sofferenza”. Ma Dominique ha scelto un’altra strada come da lei stessa reso noto, con un’intervista alla trasmissione “Servizio Pubblico”, rilasciata poche ore prima di partire per la clinica svizzera dove è possibile praticare la “dolce morte”.
“Avremmo voluto, per l'affetto che le portiamo, che fosse rimasta con noi sino all'ultimo, non anticipando neppure di un giorno la morte, seppur incombente, che non avesse rinunciato a lottare – continua Cardillo - Ma forse, come il parente che non sa rassegnarsi alla fine ineluttabile del proprio congiunto, forse avremmo sbagliato.
Vorremmo comunque che la medicina palliativa si sviluppasse sempre più in Italia, perché nessuna delle decisioni del paziente nel morire debba essere influenzata da scelte dettate dalla disperazione della sofferenza, o trovasse nella paura della stessa, motivo di una
scelta”.
l.pa.