Per la morte di Margherita, trascinata dalla teleferico nel Vco, a processo in tre
La vittima della sconvolgente tragedia era in vacanza con marito e figli
Il pm Nicola Mezzina ha emesso l'avviso di conclusione delle indagini. Finiranno insomma a processo per omicidio colposo in concorso i tre indagati per la morte di Margherita Lega, insegnante di 41 anni piacentina precipitata da una teleferica il 4 luglio 2024 mentre era in vacanza in Piemonte a Calasca Castiglione, provincia del Verbano-Cusio-Ossola: si tratta del titolare della concessione dell'impianto a fune, del presidente dell'associazione Comunità rigenerative che gestisce l'ecovillaggio in cui erano diretti la vittima e i suoi familiari e la persona che materialmente ha azionato la teleferica da monte.
La donna era stata arpionata dalla teleferica su cui stava posizionando bagagli diretti a una malga e a metà strada era fatalmente volata giù nel burrone sotto gli occhi del marito e dei suoi due figli. Ora si scopre che l'autorizzazione per quella teleferica era scaduta da più di sei mesi e l'impianto era stato autorizzato solo per il trasporto di legna. Di più, erano totalmente assenti i dispositivi di segnalazione di tipo sonoro o visivo tra le due stazioni, a monte e a valle, e quindi il cosiddetto "palorcio" non aveva le "necessarie cautele e misure volte a prevenire eventi lesivi ai danni di chiunque ne facesse uso".
Morte Margherita Lega, tre indagati
Quel giorno l'insegnante (originaria di Piacenza, ma residente in Trentino) stava raggiungendo un alpeggio con il marito e i due figli. Una bella scarpinata, impossibile da fare anche coi bagagli. E proprio per questo a Casalza Castiglione, per raggiungere in quota la località Drocala, s'erano inventati una teleferica per il trasporto esclusivo di merci, in genere legna, ma all'occorrenza anche bagagli.
Mentre Margherita caricava le valigie, la teleferica era partita senza preavviso. Lei era rimasta impigliata e il carrello aveva cominciato a risalire la fune d'acciaio per arrivare su verso la meta, 400 metri dopo. A metà strada la 41enne non ce l'aveva fatta più a rimanere appesa: un volo fatale di ben 100 metri nel vuoto.
Il primo indagato
I Carabinieri, giunti sul luogo dell'incidente, avevano identificato le persone presenti a monte dell’impianto teleferico, in particolare la persona che aveva azionato la carrucola, la quale al termine della giornata era stata formalmente indagata per omicidio colposo.
Le attività successive condotte dai carabinieri di Bannio Anzino unitamente ai carabinieri della Sezione di Polizia Giudiziaria, coordinate dalla Procura di Verbania, che per l’occasione ha nominato anche un consulente tecnico per esaminare la struttura incriminata, hanno permesso di appurare che la teleferica fosse, sin dalla sua messa in esercizio - dato che mancava persino di un progetto - gravemente carente di qualunque requisito di sicurezza, secondo le previsioni normative in materia di sicurezza nonché in relazione alla disciplina generale riguardante gli impianti a fune.
Altri due indagati
Così oltre alla prima persona indagata la Procura ha iscritto nel registro degli indagati altre due persone, ovvero il proprietario della baita che aveva invitato la famiglia per la vacanza e che aveva indicato di utilizzare l’impianto per caricare i bagagli, nonché un altro soggetto titolare della concessione dello stesso impianto in quanto avrebbe dovuto completare l’opera perfezionandola di tutti gli aspetti relativi alla sicurezza, già all’atto dell’istallazione avvenuta circa 10 anni fa, inizialmente utilizzata per trasportare a monte la legna per le necessità degli abitanti delle diverse baite.
Contestualmente all’iscrizione degli altri due indagati il Gip del Tribunale di Verbania ha disposto il sequestro preventivo dell’impianto, anche per inibire l’utilizzo dello stesso ed evitare così che altre persone possano correre gli stessi rischi.