I migranti ospiti a Tornaco si raccontano

TORNACO - Chi sono, da dove vengono, cosa vogliono, cosa fanno in Italia e in particolare a Tornaco. La “cascina delle rane” - così ribattezzata - apre le porte alla comunità locale nel segno dell’integrazione. I 14 giovani migranti ospitati tentano i primi approcci al paese: quelli cristiani per la seconda volta a messa domenica; fuori ad attenderli, giocando nell’adiacente campetto dell’oratorio, i compagni di avventura di altra confessione. Durante e dopo la messa sia il parroco don Andrea Mosca che il sindaco Gaudenzio Sarino hanno battuto nuovamente sul tasto dell’accoglienza. E un appello: servono scarpe sportive oltre il numero 40. Trascorsi i primi giorni di ambientamento, i ragazzi su base volontaria potranno rendersi utili con lavoretti di manutenzione secondo le necessità del Comune. Poi ci sarà un evento-festa multietnica ad inizio estate. Dalle spinte solidali ai muri di diffidenza e rifiuto, la cooperativa Versoprobo che si prende cura di loro spiega luci e ombre del “sistema accoglienza”. I ragazzi dal canto loro riferiscono di vissuti allucinanti e incredibili sofferenze. E mentre a Tornaco il programma integrazione è già realtà, nella vicina Borgolavezzaro, secondo il bando della Prefettura, dovrebbero essere ospitati altri profughi.Partiti dalle coste libiche in gommone, messi i piedi dopo qualche giorno sulla terra italiana (accadeva circa un mese fa), accolti dalla Cri di Taranto, il viaggio in pullman fino all’hub-centro di smistamento di Settimo Torinese. Da lì, affidati alle cure della cooperativa Versoprobo - aggiudicataria del bando prefettizio novarese - alla “cascina delle rane” di Tornaco. Attualmente sono 14 - ma la cascina è abilitata ad accoglierne fino a 25 - hanno tra i 17 e i 30 anni. Provengono dall’Africa subsahariana e all’Italia fanno domanda di asilo. «Noi garantiamo loro i diritti: assistenza sanitaria dopo il primo screening della Croce Rossa nei luoghi di recupero; vitto, alloggio, indumenti, alfabetizzazione in italiano mediante convenzione con i Cpia, assistenza legale e un poket money da 2,50 euro al giorno. Laddove le scopriamo, incentiviamo le loro abilità all’apprendimento di una professione anche mediante il contratto di formazione con l’Università degli studi di Milano», spiegano il direttore Claudio Berlini e il responsabile di area Michele Bolco della Versoprobo. «Ma chiediamo doveri: ordine, cura della persona, pulizia della propria camera e della struttura. La collaborazione con il coordinatore, sempre presente in loco, educazione e gentilezza per farsi accettare dalla popolazione locale; disposizione ad avviare percorsi di integrazione». Versoprobo scs di Vercelli, attiva dal 2009, dal 2015 si occupa anche dell’accoglienza dei migranti richiedenti asilo. E’ presente in tutto il Piemonte, molte le strutture gestite in provincia di Novara e nel Vco; a carico circa 300 persone solo nella zona dei laghi; circa 570 in tutto attualmente, ma oltre mille sono i profughi passati nel tempo per le loro mani. «La questione è ancora vissuta in Italia come emergenza ma emergenza ormai non è più - spiegano Berlini e Bolco - Il business dell’immigrazione? Esiste - ammettono - Se si ha l’animo negriero e se ne stipano mille affidati in un capannone a pane e acqua ci si arricchisce con quei 30-32 euro che si percepiscono al giorno. Per questo servono i controlli. Dipende tutto dal trattamento che si riserva loro, dai costi che si sostengono per loro. Per questo i requisiti delle cooperative non improvvisate e non estemporanee che si aggiudicano i bandi e che da anni offrono servizi e soluzioni nel sociale sono importanti», spiegano. Tra i problemi, la gestione di cibo e acqua: «Tema delicatissimo: sono ragazzi non abituati a mangiare e bere ogni giorno. Le razioni devono essere rigorosamente uguali sennò sono guai. Ci vogliono mesi per comprendere che non serve abbuffarsi o nascondere la bottiglia dell’acqua sotto il materasso: nessuno la ruberà, ce n’è per tutti», dicono. A tavola in cascina si consumano riso, pollo, verdure, pesce e prodotti africani. Si cucina anche il banku, una zuppa tipica. Ma il vero, grosso problema evidenziato, per esperienza, dalla cooperativa sono le lungaggini burocratiche: a Novara - molto peggio di altre province - ci vogliono fino a due anni di tempo per avere risposta dalla Commissione valutatrice la domanda di asilo. «Ritardi anomali sulle pratiche per la procedura di riconoscimento della protezione internazionale - spiegano - I ragazzi vengono fotosegnalati in Questura, le loro impronte digitali entrano nel sistema di identificazione europeo. Poi si inoltra la domanda di protezione internazionale che può essere rigettata o accolta a seconda della gravità della storia del soggetto: dall’asilo politico alla protezione sussidiaria a quella umanitaria. Ma passano anni». E la lunga, a tratti snervante attesa, a volte viene complicata dall’ostilità delle comunità dove si vive: «Alcuni sindaci entrano a gamba tesa sul nostro operato - non nascondono i responsabili di Versoprobo -Nei piccoli paesi è più difficile farsi accettare. Ma non è colpa loro né nostra se gli italiani patiscono la crisi, la cassa integrazione, la disoccupazione... Poi ci sono situazioni ideali come quella di Tornaco: avercene di sindaci così...», sottolineano.«Un sottobosco in paese c’è - ammette però il sindaco Gaudenzio Sarino, che fin da subito ha affrontato con determinazione la situazione - Qualcuno si è irrigidito. Noi siamo storicamente per l’accoglienza, abbiamo sul territorio altre felici esperienze (la “Casa mamma e bambino Gianna Beretta Molla”, ndr). Gli anziani sono quelli comprensibilmente più avversi, anche solo a vedere persone di colore girare per il paese. La grande fascia degli adulti si spacca tra accoglienza e rifiuto. I giovani sono molto aperti: ad esempio un ragazzino vicino di casa ha già iniziato a giocare a calcio con loro...».Arianna Martelli
TORNACO - Chi sono, da dove vengono, cosa vogliono, cosa fanno in Italia e in particolare a Tornaco. La “cascina delle rane” - così ribattezzata - apre le porte alla comunità locale nel segno dell’integrazione. I 14 giovani migranti ospitati tentano i primi approcci al paese: quelli cristiani per la seconda volta a messa domenica; fuori ad attenderli, giocando nell’adiacente campetto dell’oratorio, i compagni di avventura di altra confessione. Durante e dopo la messa sia il parroco don Andrea Mosca che il sindaco Gaudenzio Sarino hanno battuto nuovamente sul tasto dell’accoglienza. E un appello: servono scarpe sportive oltre il numero 40. Trascorsi i primi giorni di ambientamento, i ragazzi su base volontaria potranno rendersi utili con lavoretti di manutenzione secondo le necessità del Comune. Poi ci sarà un evento-festa multietnica ad inizio estate. Dalle spinte solidali ai muri di diffidenza e rifiuto, la cooperativa Versoprobo che si prende cura di loro spiega luci e ombre del “sistema accoglienza”. I ragazzi dal canto loro riferiscono di vissuti allucinanti e incredibili sofferenze. E mentre a Tornaco il programma integrazione è già realtà, nella vicina Borgolavezzaro, secondo il bando della Prefettura, dovrebbero essere ospitati altri profughi.Partiti dalle coste libiche in gommone, messi i piedi dopo qualche giorno sulla terra italiana (accadeva circa un mese fa), accolti dalla Cri di Taranto, il viaggio in pullman fino all’hub-centro di smistamento di Settimo Torinese. Da lì, affidati alle cure della cooperativa Versoprobo - aggiudicataria del bando prefettizio novarese - alla “cascina delle rane” di Tornaco. Attualmente sono 14 - ma la cascina è abilitata ad accoglierne fino a 25 - hanno tra i 17 e i 30 anni. Provengono dall’Africa subsahariana e all’Italia fanno domanda di asilo. «Noi garantiamo loro i diritti: assistenza sanitaria dopo il primo screening della Croce Rossa nei luoghi di recupero; vitto, alloggio, indumenti, alfabetizzazione in italiano mediante convenzione con i Cpia, assistenza legale e un poket money da 2,50 euro al giorno. Laddove le scopriamo, incentiviamo le loro abilità all’apprendimento di una professione anche mediante il contratto di formazione con l’Università degli studi di Milano», spiegano il direttore Claudio Berlini e il responsabile di area Michele Bolco della Versoprobo. «Ma chiediamo doveri: ordine, cura della persona, pulizia della propria camera e della struttura. La collaborazione con il coordinatore, sempre presente in loco, educazione e gentilezza per farsi accettare dalla popolazione locale; disposizione ad avviare percorsi di integrazione». Versoprobo scs di Vercelli, attiva dal 2009, dal 2015 si occupa anche dell’accoglienza dei migranti richiedenti asilo. E’ presente in tutto il Piemonte, molte le strutture gestite in provincia di Novara e nel Vco; a carico circa 300 persone solo nella zona dei laghi; circa 570 in tutto attualmente, ma oltre mille sono i profughi passati nel tempo per le loro mani. «La questione è ancora vissuta in Italia come emergenza ma emergenza ormai non è più - spiegano Berlini e Bolco - Il business dell’immigrazione? Esiste - ammettono - Se si ha l’animo negriero e se ne stipano mille affidati in un capannone a pane e acqua ci si arricchisce con quei 30-32 euro che si percepiscono al giorno. Per questo servono i controlli. Dipende tutto dal trattamento che si riserva loro, dai costi che si sostengono per loro. Per questo i requisiti delle cooperative non improvvisate e non estemporanee che si aggiudicano i bandi e che da anni offrono servizi e soluzioni nel sociale sono importanti», spiegano. Tra i problemi, la gestione di cibo e acqua: «Tema delicatissimo: sono ragazzi non abituati a mangiare e bere ogni giorno. Le razioni devono essere rigorosamente uguali sennò sono guai. Ci vogliono mesi per comprendere che non serve abbuffarsi o nascondere la bottiglia dell’acqua sotto il materasso: nessuno la ruberà, ce n’è per tutti», dicono. A tavola in cascina si consumano riso, pollo, verdure, pesce e prodotti africani. Si cucina anche il banku, una zuppa tipica. Ma il vero, grosso problema evidenziato, per esperienza, dalla cooperativa sono le lungaggini burocratiche: a Novara - molto peggio di altre province - ci vogliono fino a due anni di tempo per avere risposta dalla Commissione valutatrice la domanda di asilo. «Ritardi anomali sulle pratiche per la procedura di riconoscimento della protezione internazionale - spiegano - I ragazzi vengono fotosegnalati in Questura, le loro impronte digitali entrano nel sistema di identificazione europeo. Poi si inoltra la domanda di protezione internazionale che può essere rigettata o accolta a seconda della gravità della storia del soggetto: dall’asilo politico alla protezione sussidiaria a quella umanitaria. Ma passano anni». E la lunga, a tratti snervante attesa, a volte viene complicata dall’ostilità delle comunità dove si vive: «Alcuni sindaci entrano a gamba tesa sul nostro operato - non nascondono i responsabili di Versoprobo -Nei piccoli paesi è più difficile farsi accettare. Ma non è colpa loro né nostra se gli italiani patiscono la crisi, la cassa integrazione, la disoccupazione... Poi ci sono situazioni ideali come quella di Tornaco: avercene di sindaci così...», sottolineano.«Un sottobosco in paese c’è - ammette però il sindaco Gaudenzio Sarino, che fin da subito ha affrontato con determinazione la situazione - Qualcuno si è irrigidito. Noi siamo storicamente per l’accoglienza, abbiamo sul territorio altre felici esperienze (la “Casa mamma e bambino Gianna Beretta Molla”, ndr). Gli anziani sono quelli comprensibilmente più avversi, anche solo a vedere persone di colore girare per il paese. La grande fascia degli adulti si spacca tra accoglienza e rifiuto. I giovani sono molto aperti: ad esempio un ragazzino vicino di casa ha già iniziato a giocare a calcio con loro...».
Arianna Martelli