Delitto Macchi: il fermato, conosciuto anche nel Novarese, si avvale della facoltà di non rispondere

Delitto Macchi: il fermato, conosciuto anche nel Novarese, si avvale della facoltà di non rispondere
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NOVARA – Stefano Binda, il 48enne arrestato per l’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa universitaria uccisa a coltellate in un bosco di Cittiglio nel Varesotto, nel gennaio del 1987, questa mattina, all’interrogatorio davanti al gip di Varese Anna Giorgetti e al sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda, novarese che ha riaperto il caso, ha scelto il silenzio. Si è, infatti, avvalso della facoltà di non rispondere. 

Un vero e proprio ‘cold case’, quello della giovane universitaria, vicina agli ambienti di Cl (Comunione e Liberazione), che, per tanti anni, sembrava non trovare soluzioni e brancolare nel buio. Ma che poi ha trovato nuova linfa e nuovi elementi di indagine a partire dal 2013, proprio grazie a una donna novarese.

In quell’anno, infatti, proprio Manfredda, insignita anche del riconoscimento di “Novarese dell’Anno” nel 2010, ha ottenuto l’avocazione del caso dalla Procura della Repubblica di Varese. I nuovi risvolti partono poi da una lettera giunta ai genitori della ragazza il giorno stesso dei funerali: all’interno una poesia dal titolo “In morte di un’amica”. Una missiva che, a tratti, sembrava quasi delineare la notte in cui la giovane è stata uccisa e che, dagli inquirenti, viene considerata come scritta dal probabile assassino (tanti i particolari che avrebbe potuto conoscere, a quanto pare, solo l’autore dell’omicidio). Una lettera che, apparsa recentemente su alcuni giornali locali, ha costituito la nuova traccia d’indagine. Una donna, nel vederla, ha riconosciuto i tratti di quella scrittura, identici, stando alla testimone, a quelli di un amico di ormai quasi 30 anni fa: amico suo, come anche della giovane Lidia Macchi (ne era compagno di scuola e frequentava anche lui Cl), appunto l’attuale arrestato e presunto omicida. Sono state svolte così perizie grafiche e ulteriori indagini, che hanno poi condotto all’arresto dell’uomo nella sua casa di Brebbia. I magistrati sono convinti che sia lui l’assassino della ragazza (l’uomo, dal carcere, tramite il suo avvocato, si professa innocente). Sinora si era indagato su altre due persone, entrambe scagionate.

Il magistrato novarese, oggi martedì 19 gennaio, dopo aver lasciato il carcere (dove si è svolto l’interrogatorio), vi è tornata. Binda, infatti, sarà ascoltato anche nel pomeriggio.

Una vicenda che, dunque, ha molti aspetti novaresi. Ad arrivare a Binda, come detto, il magistrato che da sempre abita a Vignale, ma l’arrestato ha anche dei trascorsi ad Arona, dove ha studiato, dopo aver perso un anno a Varese. Ha frequentato l’ultimo anno al liceo Pietro Martire d’Anghiera. E ora, tra i compagni d’allora, è un continuo parlare di quegli anni, un ricordare quel ragazzo con la barba, che amava la filosofia, che arrivava col battello e che adorava Guccini. Molto riservato e particolarmente colto.

mo.c.


NOVARA – Stefano Binda, il 48enne arrestato per l’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa universitaria uccisa a coltellate in un bosco di Cittiglio nel Varesotto, nel gennaio del 1987, questa mattina, all’interrogatorio davanti al gip di Varese Anna Giorgetti e al sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda, novarese che ha riaperto il caso, ha scelto il silenzio. Si è, infatti, avvalso della facoltà di non rispondere. 

Un vero e proprio ‘cold case’, quello della giovane universitaria, vicina agli ambienti di Cl (Comunione e Liberazione), che, per tanti anni, sembrava non trovare soluzioni e brancolare nel buio. Ma che poi ha trovato nuova linfa e nuovi elementi di indagine a partire dal 2013, proprio grazie a una donna novarese.

In quell’anno, infatti, proprio Manfredda, insignita anche del riconoscimento di “Novarese dell’Anno” nel 2010, ha ottenuto l’avocazione del caso dalla Procura della Repubblica di Varese. I nuovi risvolti partono poi da una lettera giunta ai genitori della ragazza il giorno stesso dei funerali: all’interno una poesia dal titolo “In morte di un’amica”. Una missiva che, a tratti, sembrava quasi delineare la notte in cui la giovane è stata uccisa e che, dagli inquirenti, viene considerata come scritta dal probabile assassino (tanti i particolari che avrebbe potuto conoscere, a quanto pare, solo l’autore dell’omicidio). Una lettera che, apparsa recentemente su alcuni giornali locali, ha costituito la nuova traccia d’indagine. Una donna, nel vederla, ha riconosciuto i tratti di quella scrittura, identici, stando alla testimone, a quelli di un amico di ormai quasi 30 anni fa: amico suo, come anche della giovane Lidia Macchi (ne era compagno di scuola e frequentava anche lui Cl), appunto l’attuale arrestato e presunto omicida. Sono state svolte così perizie grafiche e ulteriori indagini, che hanno poi condotto all’arresto dell’uomo nella sua casa di Brebbia. I magistrati sono convinti che sia lui l’assassino della ragazza (l’uomo, dal carcere, tramite il suo avvocato, si professa innocente). Sinora si era indagato su altre due persone, entrambe scagionate.

Il magistrato novarese, oggi martedì 19 gennaio, dopo aver lasciato il carcere (dove si è svolto l’interrogatorio), vi è tornata. Binda, infatti, sarà ascoltato anche nel pomeriggio.

Una vicenda che, dunque, ha molti aspetti novaresi. Ad arrivare a Binda, come detto, il magistrato che da sempre abita a Vignale, ma l’arrestato ha anche dei trascorsi ad Arona, dove ha studiato, dopo aver perso un anno a Varese. Ha frequentato l’ultimo anno al liceo Pietro Martire d’Anghiera. E ora, tra i compagni d’allora, è un continuo parlare di quegli anni, un ricordare quel ragazzo con la barba, che amava la filosofia, che arrivava col battello e che adorava Guccini. Molto riservato e particolarmente colto.

mo.c.


 

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