A casa Melchionda, 6 anni dopo

Eravamo entrati nella casa della famiglia Melchionda, a Oleggio, in un momento tragico, poco più di 6 anni fa. Era la prima mattina di sabato 3 luglio 2010, e da quella casa erano appena usciti i Carabinieri di Novara, che si erano recati dai genitori di Simona Melchionda, Leonardo e Giovanna, per comunicare loro che durante quella notte Luca Sainaghi, messo alle strette, aveva confessato di aver ucciso un mese prima la loro figlia con un colpo di pistola, e di aver poi gettato il corpo nel Ticino in piena, indicando anche il punto.
E in quella casa siamo rientrati mercoledì sera, al rientro dei coniugi Melchionda da Roma, dove qualche ora prima la Cassazione aveva sancito la definitiva condanna a 30 anni di Ilaria Mortarini, istigatrice del delitto (vedi “Corriere” di giovedì scorso). Ripartiamo proprio da quel drammatico 3 luglio di 6 anni fa. «Erano le prime ore del mattino - racconta Leonardo Melchionda - e in strada, appena uscito dal cancelletto per recarmi a comprare sigarette e giornali, ho incrociato i Carabinieri. Mi hanno chiesto di rientrare nell’appartamento perché dovevano comunicarmi qualcosa…». Un colpo al cuore, «anche se - ricorda il papà di Simona - percepivamo già da qualche giorno che c’era qualcosa in ballo». Ormai le indagini avevano messo Luca con le spalle al muro: mancava solo la sua confessione. Subito erano partite le ricerche del corpo, recuperato poco dopo mezzogiorno di quel sabato impigliato in acqua in alcuni rami vicino a riva, nel Ticino di Pombia.
Il delitto avvenne nella notte fra il 6 e 7 giugno precedente. Simona non fece rientro a casa, e nei primi giorni si parlò di un suo “allontanamento volontario”. Leonardo e Giovanna, e il figlio Roberto, non ci hanno mai creduto: «Nostra figlia era assolutamente libera a indipendente - dice Giovanna - la vera regina della casa, oltretutto dopo che il fratello era andato a vivere da solo. Non avrebbe avuto una sola ragione al mondo per allontanarsi, per sparire così. Addirittura diceva che se anche si fosse sposata, non avrebbe cambiato casa…». Eppure, sempre all’inizio, qualcosa induceva a credere che davvero Simona si fosse allontanata: «Abbiamo saputo che era stato modificato il suo profilo Messenger, cosa che presumibilmente avrebbe potuto fare solo lei». Opera invece, a quanto pare, proprio di Luca, sul computer della giovane acquisito in caserma a Oleggio dove lui, carabiniere, prestava servizio. Insomma, una sorta di depistaggio. «Del resto - raccontano Leonardo e il figlio Roberto - proprio lui, quando andavamo in caserma per chiedere se ci fossero novità nelle ricerche, le chiedeva a noi…».
Paolo Viviani
leggi il servizio sul Corriere di Novara di sabato 16 luglio
Eravamo entrati nella casa della famiglia Melchionda, a Oleggio, in un momento tragico, poco più di 6 anni fa. Era la prima mattina di sabato 3 luglio 2010, e da quella casa erano appena usciti i Carabinieri di Novara, che si erano recati dai genitori di Simona Melchionda, Leonardo e Giovanna, per comunicare loro che durante quella notte Luca Sainaghi, messo alle strette, aveva confessato di aver ucciso un mese prima la loro figlia con un colpo di pistola, e di aver poi gettato il corpo nel Ticino in piena, indicando anche il punto.
E in quella casa siamo rientrati mercoledì sera, al rientro dei coniugi Melchionda da Roma, dove qualche ora prima la Cassazione aveva sancito la definitiva condanna a 30 anni di Ilaria Mortarini, istigatrice del delitto (vedi “Corriere” di giovedì scorso). Ripartiamo proprio da quel drammatico 3 luglio di 6 anni fa. «Erano le prime ore del mattino - racconta Leonardo Melchionda - e in strada, appena uscito dal cancelletto per recarmi a comprare sigarette e giornali, ho incrociato i Carabinieri. Mi hanno chiesto di rientrare nell’appartamento perché dovevano comunicarmi qualcosa…». Un colpo al cuore, «anche se - ricorda il papà di Simona - percepivamo già da qualche giorno che c’era qualcosa in ballo». Ormai le indagini avevano messo Luca con le spalle al muro: mancava solo la sua confessione. Subito erano partite le ricerche del corpo, recuperato poco dopo mezzogiorno di quel sabato impigliato in acqua in alcuni rami vicino a riva, nel Ticino di Pombia.
Il delitto avvenne nella notte fra il 6 e 7 giugno precedente. Simona non fece rientro a casa, e nei primi giorni si parlò di un suo “allontanamento volontario”. Leonardo e Giovanna, e il figlio Roberto, non ci hanno mai creduto: «Nostra figlia era assolutamente libera a indipendente - dice Giovanna - la vera regina della casa, oltretutto dopo che il fratello era andato a vivere da solo. Non avrebbe avuto una sola ragione al mondo per allontanarsi, per sparire così. Addirittura diceva che se anche si fosse sposata, non avrebbe cambiato casa…». Eppure, sempre all’inizio, qualcosa induceva a credere che davvero Simona si fosse allontanata: «Abbiamo saputo che era stato modificato il suo profilo Messenger, cosa che presumibilmente avrebbe potuto fare solo lei». Opera invece, a quanto pare, proprio di Luca, sul computer della giovane acquisito in caserma a Oleggio dove lui, carabiniere, prestava servizio. Insomma, una sorta di depistaggio. «Del resto - raccontano Leonardo e il figlio Roberto - proprio lui, quando andavamo in caserma per chiedere se ci fossero novità nelle ricerche, le chiedeva a noi…».
Paolo Viviani
leggi il servizio sul Corriere di Novara di sabato 16 luglio