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Un’arma in più contro il cancro grazie a una biologa novarese

Alice Perucca, classe 1995, lavora all’Institute for Bioengineering of Catalonia

Un’arma in più contro il cancro grazie a una biologa novarese
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Una biologa novarese firma un fondamentale articolo scientifico nell'importante campo delle nuove prospettive per la ricerca sul cancro e possibili applicazioni cliniche.

Di Valeria Abate

Un’arma in più contro il cancro grazie a una biologa novarese

Lei è la dottoressa Alice Perucca, classe 1995, che ha scelto Barcellona come sua città adottiva «proprio quando il mondo si stava fermando per l'emergenza covid». Dopo una laurea in Scienze Biologiche e un master in Olanda, l'arrivo in Spagna per un'esperienza di stage ha coinciso con l'inizio della pandemia ma «nemmeno il rientro su una barca - racconta la Perucca con un misto tra commozione e sorrisi - che aveva permesso a noi italiani in Spagna di fare rientro a casa, ha fermato il mio desiderio di poter svolgere quell'esperienza formativa che giudicavo importante e che si è rivelata stimolante sotto tutti i punti di vista».

E così, decisa a proseguire con la carriera accademica e il dottorato, Alice Perucca ha trovato «all'Institute for Bioengineering of Catalonia un ambiente vario e stimolante» con la grande fortuna di essere circondata da «scienziati provenienti da tutto il mondo che hanno percorsi di studi diversi dai miei» e, soprattutto, le opportunità incredibili di «essere una biologa che interagisce con fisici, chimici e ingegneri dalle varie specialità».

Spagnolo come il laboratorio dove è stato sviluppato e come l'orgoglio di uno degli artisti più emblematici di quella terra, MIRO è l'acronimo (Micro Immune Response On-chip) della piattaforma in vitro completamente umanizzata per modellare l'organizzazione spaziale dell'interfaccia tumore/stroma e la sua interazione con le cellule immunitarie cui ha lavorato Alice Perucca. Con la pubblicazione dello scorso 3 febbraio, che porta la firma della biologa novarese, è stato scoperto che «le barriere stromali sono associate all'esclusione immunitaria e proteggono le cellule tumorali dalla citotossicità cellulare dipendente dagli anticorpi, provocata dalla terapia mirata» ed è stato possibile dimostrare che «l'immuno- modulazione guidata da IL2 aumenta la velocità e la diffusione delle cellule immunitarie per superare l'immunosoppressione stromale e ripristina la risposta anti tumorale nei tumori refrattari».

Di fatto, in ambito scientifico, è stato presentato un «potente e innovativo strumento per esplorare come l'organizzazione spaziale del microambiente tumorale modella il panorama immunitario e influenza le risposte alle terapie immunomodulanti».

La strada è quella delle immunoterapie

La ricerca che ha coinvolto la nostra concittadina si inserisce in un preciso contesto, come lei stessa spiega: «Il contesto è quello delle immunoterapie contro il cancro, già utilizzate in campo medico per combattere questa malattia stimolando direttamente le cellule del proprio sistema immunitario per eliminare il tumore. Però, non tutti i pazienti oncologici rispondono allo stesso modo e molti, purtroppo, non rispondono proprio. Era quindi importante capirne il motivo e noi, a Barcellona, ci siamo focalizzati sull'aspetto meccanico del perché questo succede».

Ed ecco, quindi, che con la pubblicazione del 3 febbraio, è stato presentato «un modello preclinico che - spiega con orgoglio la biologa novarese - può aiutarci a migliorare l'efficacia delle immuno terapie perché ci permette di testarne varie, direttamente sulle cellule dei pazienti. In pratica - conclude - potrebbe essere utilizzato come uno strumento per creare una medicina personalizzata, permettendo di trovare il trattamento che più aiuta e potrebbe aiutare ciascun paziente che ne ha bisogno».

Uno studio chiave, quindi, che si spera possa avere importanti implicazioni e applicazioni future. Questo, infatti, l'auspicio della nostra concittadina: «Speriamo di riuscire a passare questa tecnologia alle aziende farmaceutiche e agli ospedali per fare in modo che i dottori e i tecnici specializzati possano usarlo direttamente sui pazienti, con le cellule dei pazienti». C'è ancora tanto lavoro che deve essere fatto, per poter arrivare a questo punto futuro, ma le speranze e le potenzialità sono state dimostrate.

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