«Quei profughi minorenni finiti anche a Novara»

«Quei profughi minorenni finiti anche a Novara»
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Siamo i quattro fotografi fondatori di Studio14. Sentendo continue notizie sulla migrazione ed occupandoci anche di reportage abbiamo pensato di dare un contributo a questo tema di grande attualità. Abbiamo saputo che la Ong Ciai stava lavorando su un progetto denominato “Ragazzi Harraga - Processi di inclusione sociale per minori migranti non accompagnati nella città di Palermo” così abbiamo offerto loro la nostra disponibilità che è stata accolta con entusiasmo. Siamo quindi partiti per fare un reportage a Palermo sulla problematica crescente dei minorenni migranti, tema molto delicato.

Secondo la legge, tutti i minori stranieri che si trovano nel nostro paese senza la tutela di un adulto, non possono essere espulsi. Una volta sbarcati sulle coste italiane i minori vengono assegnati ai centri di prima accoglienza (gestiti dal Ministero degli Interni) dove ci si occupa della loro identificazione, delle visite mediche e di rispondere ai loro bisogni primari. I numeri si fanno sempre più alti e questo diritto diventa sempre più difficile da garantire. La situazione è molto delicata e complessa e gli strumenti materiali o normativi spesso ostacolano la parola “emergenza”.

Per entrare nel merito di questo progetto abbiamo cercato di non essere influenzati da notizie apprese dai media, dai reportage passati o dai racconti in modo da sentire sulla nostra pelle questa esperienza. Siamo speranzosi che il nostro materiale possa essere un elemento utile alle persone per capire i fatti in modo più concreto.

Per muoverci attraverso le associazioni e i ragazzi senza essere invasivi abbiamo svolto il servizio a coppie di due fotografi. Infatti abbiamo cercato di interagire con i ragazzi e solo dopo essere entrati in sintonia abbiamo cominciato a raccogliere racconti e scatti.

Siamo stati in tre diverse associazioni che operano sul territorio di Palermo, avendo dapprima un colloquio con gli educatori e operatori del settore e poi con i minori. Inizialmente i ragazzi si sono dimostrati un po’ freddi ma dopo vari tentativi di approccio è subentrata un’ottima armonia. Alcuni di loro ci hanno mostrato la casa e raccontato come vivono nell’associazione e nella realtà della città.

Qualcuno di loro ci ha raccontato come sono arrivati in Italia e perché: le motivazioni sono diverse, le parole raccontano vicende che non si possono immaginare nel nostro contesto sociale. Unico denominatore comune è il Paese dell’imbarco, Libia. I ragazzi sono di diverse etnie, in occidente si pensa che la guerra in Siria sia un pretesto per agevolare l’immigrazione verso l’Europa e l’Italia alla ricerca di una vita migliore.

La guerra ha creato un canale di disperazione facendo confluire nel nostro Paese popolazioni e genti delle più disparate provenienze.

I racconti appresi dai ragazzi e dagli educatori riportano diverse storie. Alcuni arrivano come profughi da persecuzioni dittatoriali, altri da terre molto povere dove è difficile coltivare dentro sé il seme della speranza, altri ancora scappano dal Paese perché sono rimasti soli.

Purtroppo non si scappa solo dalla guerra, si scappa da villaggi bruciati, in guerra tra loro, da estrema povertà dove le madri si vedono costrette a sacrificare uno dei propri figli in nome della salvezza di un villaggio secondo profezie di stregoni e credenze locali.

I viaggi durano mesi, in alcuni casi anche due anni. Quando arrivano in Libia vengono costretti a lavorare per pagarsi il viaggio in condizione di schiavitù. Devono lavorare e non possono uscire, la Libia è un Paese che non possono vedere, è proibito. Quando gli organizzatori degli sbarchi li reputano sufficientemente sfruttati li imbarcano. Una volta arrivati in Libia non si può più cambiare idea e tornare indietro.

I ragazzi vengono accolti dalle associazioni che si preoccupano del loro accudimento facendo frequentare loro corsi di italiano, corsi professionali, dando loro regole per una convivenza armoniosa in modo che possano trovare una integrazione più facile in una diversa cultura.

Oltre al lavoro fotografico all’interno dell’associazione abbiamo organizzato una gita al mare. E’ stato emozionante vederli sereni tra le onde di quel mare che li ha portati su queste sponde dopo un viaggio estenuante che li ha segnati per sempre. In spiaggia abbiamo apprezzato gesti di un’integrazione a volte difficile, la gente si è dimostrata accogliente, solo pochi gli sguardi infastiditi. Ci ha colpito molto anche la grande educazione e civiltà che questi ragazzi hanno mostrato durante la nostra permanenza.

Questa esperienza ha aggiunto qualcosa nel bagaglio della nostra vita: un ricordo indelebile sia dal punto di vista fotografico-sociale che umano. Il giorno prima della partenza da Milano non sapevamo cosa ci attendesse a Palermo, lo stupore di essere entrati in sintonia con questi ragazzi ci ha fatto addirittura commuovere. In alcune situazioni un collega nascondeva la propria emozione dietro le lenti scure dei suoi occhiali.

Vorremmo ringraziare tutti quelli che ci hanno permesso di realizzare questo reportage. Ringraziamo l’assessorato alla Cittadinanza Sociale del Comune di Palermo, le associazioni Arcobaleno, Mediterraneo, Stellaria. Uno speciale ringraziamento a Francesca Silva direttore territoriale Italia del Ciai Ong (www.ciai.it) che si occupa con la collaborazione delle altre associazioni di questo progetto.

Marco Sartori

Leggi di più e guarda tutto il reportage sul Corriere di Novara di sabato 11 febbraio 2017

Siamo i quattro fotografi fondatori di Studio14. Sentendo continue notizie sulla migrazione ed occupandoci anche di reportage abbiamo pensato di dare un contributo a questo tema di grande attualità. Abbiamo saputo che la Ong Ciai stava lavorando su un progetto denominato “Ragazzi Harraga - Processi di inclusione sociale per minori migranti non accompagnati nella città di Palermo” così abbiamo offerto loro la nostra disponibilità che è stata accolta con entusiasmo. Siamo quindi partiti per fare un reportage a Palermo sulla problematica crescente dei minorenni migranti, tema molto delicato.

Secondo la legge, tutti i minori stranieri che si trovano nel nostro paese senza la tutela di un adulto, non possono essere espulsi. Una volta sbarcati sulle coste italiane i minori vengono assegnati ai centri di prima accoglienza (gestiti dal Ministero degli Interni) dove ci si occupa della loro identificazione, delle visite mediche e di rispondere ai loro bisogni primari. I numeri si fanno sempre più alti e questo diritto diventa sempre più difficile da garantire. La situazione è molto delicata e complessa e gli strumenti materiali o normativi spesso ostacolano la parola “emergenza”.

Per entrare nel merito di questo progetto abbiamo cercato di non essere influenzati da notizie apprese dai media, dai reportage passati o dai racconti in modo da sentire sulla nostra pelle questa esperienza. Siamo speranzosi che il nostro materiale possa essere un elemento utile alle persone per capire i fatti in modo più concreto.

Per muoverci attraverso le associazioni e i ragazzi senza essere invasivi abbiamo svolto il servizio a coppie di due fotografi. Infatti abbiamo cercato di interagire con i ragazzi e solo dopo essere entrati in sintonia abbiamo cominciato a raccogliere racconti e scatti.

Siamo stati in tre diverse associazioni che operano sul territorio di Palermo, avendo dapprima un colloquio con gli educatori e operatori del settore e poi con i minori. Inizialmente i ragazzi si sono dimostrati un po’ freddi ma dopo vari tentativi di approccio è subentrata un’ottima armonia. Alcuni di loro ci hanno mostrato la casa e raccontato come vivono nell’associazione e nella realtà della città.

Qualcuno di loro ci ha raccontato come sono arrivati in Italia e perché: le motivazioni sono diverse, le parole raccontano vicende che non si possono immaginare nel nostro contesto sociale. Unico denominatore comune è il Paese dell’imbarco, Libia. I ragazzi sono di diverse etnie, in occidente si pensa che la guerra in Siria sia un pretesto per agevolare l’immigrazione verso l’Europa e l’Italia alla ricerca di una vita migliore.

La guerra ha creato un canale di disperazione facendo confluire nel nostro Paese popolazioni e genti delle più disparate provenienze.

I racconti appresi dai ragazzi e dagli educatori riportano diverse storie. Alcuni arrivano come profughi da persecuzioni dittatoriali, altri da terre molto povere dove è difficile coltivare dentro sé il seme della speranza, altri ancora scappano dal Paese perché sono rimasti soli.

Purtroppo non si scappa solo dalla guerra, si scappa da villaggi bruciati, in guerra tra loro, da estrema povertà dove le madri si vedono costrette a sacrificare uno dei propri figli in nome della salvezza di un villaggio secondo profezie di stregoni e credenze locali.

I viaggi durano mesi, in alcuni casi anche due anni. Quando arrivano in Libia vengono costretti a lavorare per pagarsi il viaggio in condizione di schiavitù. Devono lavorare e non possono uscire, la Libia è un Paese che non possono vedere, è proibito. Quando gli organizzatori degli sbarchi li reputano sufficientemente sfruttati li imbarcano. Una volta arrivati in Libia non si può più cambiare idea e tornare indietro.

I ragazzi vengono accolti dalle associazioni che si preoccupano del loro accudimento facendo frequentare loro corsi di italiano, corsi professionali, dando loro regole per una convivenza armoniosa in modo che possano trovare una integrazione più facile in una diversa cultura.

Oltre al lavoro fotografico all’interno dell’associazione abbiamo organizzato una gita al mare. E’ stato emozionante vederli sereni tra le onde di quel mare che li ha portati su queste sponde dopo un viaggio estenuante che li ha segnati per sempre. In spiaggia abbiamo apprezzato gesti di un’integrazione a volte difficile, la gente si è dimostrata accogliente, solo pochi gli sguardi infastiditi. Ci ha colpito molto anche la grande educazione e civiltà che questi ragazzi hanno mostrato durante la nostra permanenza.

Questa esperienza ha aggiunto qualcosa nel bagaglio della nostra vita: un ricordo indelebile sia dal punto di vista fotografico-sociale che umano. Il giorno prima della partenza da Milano non sapevamo cosa ci attendesse a Palermo, lo stupore di essere entrati in sintonia con questi ragazzi ci ha fatto addirittura commuovere. In alcune situazioni un collega nascondeva la propria emozione dietro le lenti scure dei suoi occhiali.

Vorremmo ringraziare tutti quelli che ci hanno permesso di realizzare questo reportage. Ringraziamo l’assessorato alla Cittadinanza Sociale del Comune di Palermo, le associazioni Arcobaleno, Mediterraneo, Stellaria. Uno speciale ringraziamento a Francesca Silva direttore territoriale Italia del Ciai Ong (www.ciai.it) che si occupa con la collaborazione delle altre associazioni di questo progetto.

Marco Sartori

Leggi di più e guarda tutto il reportage sul Corriere di Novara di sabato 11 febbraio 2017

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