Chiusi in stanza al buio e in una realtà virtuale: i casi si moltiplicano nell'Aronese e nel Novarese
Il fenomeno cresce e preoccupa gli esperti

Chiusi in stanza in una sorta di "caverna virtuale": il fenomeno cresce anche nella provincia di Novara e preoccupa gli esperti.
Chiusi in stanza per rifiutare il mondo reale
Si chiudono nella propria stanza per tagliare i ponti con la realtà e per reagire in modo estremo al giudizio degli altri. E' questa la scelta radicale fatta da molti giovani e giovanissimi, che arrivano a vivere anche per anni completamente isolati nella loro cameretta. Con un computer davanti e una connessione cercano di costruirsi un'altra identità, un'altra esistenza surrogata, rifugiandosi nella realtà virtuale. "In una società come la nostra - dice lo psicologo aronese Matteo Zanon - a contare non è tanto che le tue azioni siano positive, quanto piuttosto che l’esito dell’azione lo sia. Che sia apprezzato. Siamo costantemente condizionati dal giudizio degli altri e il rischio per un adolescente di non riuscire ad accettarsi è sempre più elevato. Oggi però, i ragazzi che si trovano ad affrontare questo tipo di disagio credono a volte di trovare una soluzione nell’isolamento e nella creazione di un’altra identità attraverso la Rete e i social network".
I casi si moltiplicano anche nel Novarese e nell'Aronese
Il fenomeno, per certi diverso da quello registrato in Italia, in Giappone è conosciuto con il nome di "Hikikomori" e ha dato vita a un vero e proprio allarme sociale. "Riceviamo segnalazioni da Arona, Castelletto, Dormelletto, Novara e molti altri paesi del circondario - dice Zanon -. I genitori si rivolgono allo psicologo quando ormai il problema è conclamato e il ragazzo ha smesso di uscire di casa. I ragazzi smettono di andare a scuola, non incontrano più i loro coetanei, si chiudono nella propria stanza, spesso al buio, ed evitano anche i contatti con i genitori. C’è chi non esce più per mesi, chi addirittura per anni. Diventano in molti casi appassionati di manga, anime e videogiochi. Non tutti passano le loro giornate di fronte ai videogiochi. Molti studiano anche, da autodidatti, e raggiungono una buona preparazione in settori come l’informatica ad esempio. Spesso invertono il ritmo sonno-veglia o iniziano a nutrirsi in modo disordinato. Alcuni rifiutano di curare la propria igiene".
Che cosa si può fare per aiutare questi ragazzi
Il fenomeno è ancora poco conosciuto, ma i primi strumenti per aiutare le vittime sono stati già sperimentati. E per gli psicologi come Zanon, che lavora per la cooperativa sociale Aquilone, la sfida è diventata sempre più impegnativa. In Italia al momento l’unico centro specializzato nel trattamento di questo fenomeno è il centro Minotauro di Milano, ma da poco si è formata anche un’associazione, conosciuta come Hikikomori Italia, che riunisce i genitori dei ragazzi hikikomori. La risposta più efficace sul territorio è però quella dei servizi sociali. "I modi per uscire da questo problema sono due - continua quindi Zanon - rivolgersi a uno specialista o contattare i servizi sociali. Noi come cooperativa sociale Aquilone abbiamo istituito il servizio “Famiglie allo specchio”, attraverso il quale offriamo consulenze psicologiche e pedagogiche alle famiglie, anche in questo campo. Per il momento operiamo sul distretto della vicina Sesto Calende, ma attiveremo a brevissimo una collaborazione con lo studio Medicamenta di Oleggio".