Nuovo appello

Ahmadreza Djalali colpito da infarto nel carcere di Evin: Amnesty lancia l’allarme

Il medico irano-svedese, cittadino onorario di Novara, è in condizioni critiche

Ahmadreza Djalali colpito da infarto nel carcere di Evin: Amnesty lancia l’allarme
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Nelle scorse ore Ahmadreza Djalali, medico e ricercatore irano-svedese detenuto nel carcere di Evin, a Teheran, ha subito un infarto.

Ahmadreza Djalali colpito da infarto nel carcere di Evin

A darne notizia è Amnesty International Italia, che lancia un appello urgente alle autorità iraniane affinché gli vengano garantite cure mediche adeguate, compresa una visita cardiologica.

Secondo quanto riportato, il carcere di Evin dispone soltanto di un ambulatorio di base, non in grado di gestire emergenze sanitarie di questa gravità. Amnesty denuncia l’inadeguatezza delle strutture e chiede con forza che Djalali riceva tutte le cure necessarie.

“Qui l’ultimo disperato messaggio che è riuscito a far uscire da Evin”, scrive Amnesty in un post pubblicato sui social con l’hashtag #FreeAhmadreza.

Una mobilitazione costante: Novara non dimentica Djalali

Solo pochi giorni fa, il 24 aprile, la città di Novara aveva ricordato i nove anni dall’arresto di Ahmadreza Djalali. In un momento di riflessione davanti a Palazzo Cabrino, sede del Comune, il sindaco Alessandro Canelli, la responsabile del Gruppo Italia 046 di Amnesty, Franca Di Franco, e il consigliere regionale Domenico Rossi hanno rinnovato l’appello per la sua liberazione.

Sul palazzo era stato esposto uno striscione che chiede giustizia per Djalali, cittadino onorario di Novara e già collaboratore del centro Crimedim e dell’Università del Piemonte Orientale (UPO).

Chi è Ahmadreza Djalali

Ahmadreza Djalali è un medico e ricercatore specializzato in medicina dei disastri, con incarichi accademici in Italia, Svezia e Belgio. Arrestato nel 2016 durante una visita accademica in Iran, è stato accusato di “corruzione sulla terra” e condannato a morte nel 2017 al termine di un processo ritenuto gravemente iniquo da numerose organizzazioni per i diritti umani.

Secondo Amnesty International, la condanna è stata ottenuta attraverso confessioni estorte sotto tortura, e a Djalali è stato negato il diritto alla difesa legale.

In questi anni, le sue condizioni di salute sono peggiorate drasticamente a causa dell’isolamento prolungato e della mancanza di cure mediche.

Una petizione per salvarlo

La mobilitazione continua anche online. La petizione per la liberazione di Djalali ha già superato le 312.000 firme.

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