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"Nata per volare": la storia di Mariangela Valentini raccontata dalla mamma

In un libro la vita dell'oleggese divenuta la prima donna pilota di un caccia dell’Aeronautica militare e scomparsa tragicamente a soli 31 anni

"Nata per volare": la storia di Mariangela Valentini raccontata dalla mamma
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Da alcuni giorni è disponibile nelle librerie fisiche e digitali il libro che Piera Vandoni ha dedicato alla storia della figlia, Mariangela Valentini, morta il 19 agosto 2014, a soli 31 anni ad Ascoli Piceno in uno scontro tra due aerei Tornado durante una esercitazione.

Nata per volare: la storia di Mariangela Valentini

E' una storia decisamente unica e che meritava di essere raccontata in tutte le sue sfaccettature, non solo per il suo drammatico epilogo e l'iter giudiziario che ne è conseguito, ma per tutto quello che c'era stato prima di quel drammatico impatto aereo: una storia di determinazione decisamente fuori dal comune.

Mariangela Valentini, nata a Borgomanero e cresciuta a Oleggio, è stata infatti la prima donna pilota di un caccia dell’Aeronautica militare, in forza al Sesto Stormo di stanza a Ghedi, in provincia di Brescia. A detta di tutti, familiari e amici che la conoscevano sin da piccola, lei "era nata per volare". E non a caso proprio questa espressione è stata scelta da mamma Piera come titolo per il libro "Nata per volare. Frammenti di vita, di morte e verità nascoste del maggiore pilota Mariangela Valentini".

Nel libro c'è tanto del capitano Valentini ma c'è anche Mariangela, una ragazza brillante, caratterizzata da grinta e sensibilità straordinarie. E ci sono anche le "verità nascoste" legate a quel processo che aveva il compito di stabilire le responsabilità di quell'incidente in cui la giovane donna perse la vita insieme al capitano navigatore Piero Paolo Franzese con lei sull’aereo Freccia 21 e il capitano Alessandro Dotto e il navigatore Giuseppe Palminteri che si trovavano sull'altro mezzo.

Le parole della mamma: dieci anni di inferno

«Per dieci anni ho attraversato le pene dell’inferno - aveva raccontato qualche mese fa Vandoni al settimanale NovaraOggi ripercorrendo le varie tappe del processo - Non ho mai chiesto un centesimo, soltanto la verità e l’onore di mia figlia».

«Mariangela è stata osannata per quello che faceva perché con le sue missioni internazionali faceva brillare il suo Paese - aveva detto con amarezza - ma appena avvenuta la tragedia, ancor prima quasi che fossero ritrovati i corpi, le è stato puntato il dito contro. Lei non è mai stata imputata, eppure le è stata versata addosso una quantità di letame vergognosa».

Il processo, conclusosi a marzo 2024, ha poi stabilità ciò di cui mamma Piera non aveva mai dubitato: «Ho ricevuto la verità e l’onore di mia figlia. Perché si sono accaniti contro di lei? Un pensiero me lo sono fatto, Mariangela era donna quando ancora non c’era tutta questa uguaglianza di genere in ambito lavorativo. Lei ha aperto le strade, magari in qualche ambiente di lavoro si punta ancora il dito sulle quote rosa, ma molto meno. Io sono per l’equità, perché anche laddove la donna è molto più osannata dell’uomo è errato a mio parere. A mio avviso ciascuno deve essere apprezzato per quello che fa, non per quello che è».

«Mariangela era diversa dalle altre persone - aveva poi raccontato Vandoni nell'intervista - era umile, era pura e totalmente appassionata di volo». Umile a tal punto che mamma Piera ha scoperto solo dopo la quantità di encomi e riconoscimenti che aveva ricevuto per le sue missioni, per la sua integrità, per il suo essere così come era: «Gliene ho dette quattro lassù quando ho scoperto tutto questo. Lei non diceva niente, perché l’apparire non le apparteneva. Per non farmi preoccupare non mi diceva dove andava. Poi tornava con un regalino, come diceva lei, e allora mi raccontava. Quando è stata in Afghanistan mi ha detto che sarebbe andata negli Emirati Arabi e in effetti mi era sembrato strano, ma non chiedevo per il semplice fatto che mi fidavo di lei. Poche persone, i suoi amici più cari, sapevano il suo mestiere, proprio perché divideva il lavoro dalla vita privata e perché voleva essere apprezzata perché Mariangela, non perché alla guida di aerei militari».

In questi anni Piera Vandoni si è affidata alla giustizia, alla fede e alla scrittura: «E dire che prima con i sacerdoti io non avevo proprio niente a che fare, ora invece guai a chi me li tocca, - raccontava con un sorriso - devo ringraziare don Giorgio e don Gabriele e don Riccardo. Ed è stato proprio don Riccardo a darmi un consiglio, dicendomi: “Se lei non butta fuori quello che ha dentro non può cavarsela. Scriva tutto quello che si sente, poi straccia. Ma scrivere la aiuterà a metabolizzare”. Ho scritto tutte le volte che sentivo che il mio cuore si spezzava».

Piera ha accolto il consiglio, per fortuna però non del tutto, o meglio, non ha stracciato quei fogli: «Mi è servito anche rileggerli».

Ora quei pensieri sono diventati un libro, proprio come aveva anticipato in quell'intervista qualche mese fa: «Sono situazioni che ho vissuto sulla mia pelle e sono la mia verità, nessuno può togliermele. Dopo questi dieci anni ho bisogno di parlare e di sfogarmi. L’Italia deve sapere. Sono una semplice casalinga, ma quando ti toccano i figli ti colpisce qualcosa dentro per cui vuoi andare fino infondo. E in questi anni ho ricevuto anche parole che mi hanno reso ancora più orgogliosa, per esempio quando mi è stato detto che sono una tosta come Mariangela».

Mariangela e il volo

La passione per il volo la giovane oleggese l’aveva dentro di sè. «Prima abitavamo in via Gallarate, lungo la rotta dove passavano gli aerei, alcuni dei quali allora passavano la barriera del suono; Mariangela aveva 3/4 anni e ogni volta che sentiva quel rumore usciva sul balcone indicando gli aerei» racconta la mamma.

16 anni la morte del padre: «Mio marito è mancato presto; per fortuna avevamo scelto di fare poco prima un’assicurazione sulla vita e quel che avevamo messo da parte è servito per lei e il suo percorso; abbiamo anche una figlia più grande che è ingegnere. In questi dieci anni sono sempre stata aiutata da mio fratello che è stato accanto a me. Mariangela a 17 anni ha preso il brevetto e ho fatto con lei il primo volo, l’istruttore mi ha chiamato dicendomi che non avrebbe mai dovuto smettere di volare. E io vedevo nei suoi occhi questa passione, non per aerei civili però, bensì militari».

Il capitano Valentini è entrata in accademia passando il concorso e risultando così fra gli 80 ammessi. «Paura e preoccupazione per lei? No perché vedevo nei suoi occhi la sua purezza e la naturalezza e ho capito che era la sua strada».

Dalla sua morte l’Aeronautica militare ricorda il capitano con una borsa di studio: «Un gesto che io apprezzo moltissimo, perché offrire una possibilità ai ragazzi che hanno bisogno mi riempie il cuore, - dice Piera - vedere poi questi ragazzi realizzarsi è una gioia perché penso alla mia Mariangela realizzata. Ognuno è speciale per qualcosa che fa e poter raggiungere i propri sogni è una meraviglia, io l’ho vissuto con mia figlia».

 

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