Sequestro e omicidio Mazzotti: in 4 a processo 40 anni dopo
La ragazza era stata segregata a Castelletto Ticino in una buca
In quattro andranno a processo tra 11 mesi e c’è anche il novarese Demetrio Latella.
I fatti
E’ approdato a Milano, martedì 24 ottobre davanti alla gup Angela Minerva dopo l’udienza di cinque giorni prima, il caso Mazzotti seguito alla nuova inchiesta della procura che nell’inverno dell’anno scorso aveva chiesto il rinvio a giudizio di quattro persone accusate del rapimento e omicidio della studentessa 18enne Cristina Mazzotti, avvenuto nell’estate del ’75 per mano di un comando dell’Anonima sequestri.
Sono il 68enne residente nel novarese Demetrio Latella, il boss della ‘Ndrangheta Giuseppe Morabito, 78 anni, residente a Tradate, e Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, pure loro, secondo gli inquirenti, vicini a cosche calabresi. Secondo l’accusa, in concorso con altri 13 già condannati in passato, avrebbero «preso parte attiva e portato a compimento la fase esecutiva del sequestro».
A riaprire l’indagine, e poi a chiuderla a novembre 2022 con le richieste di rinvio a giudizio – 48 anni dopo i fatti –, era stata la procura di Milano con il pm della Dda Stefano Civardi e la collaborazione della Squadra Mobile. Nell’udienza di giovedì 19 Civardi ha ribadito la richiesta di processo per tutti e quattro, mentre gli avvocati di Latella, Maurizio Antoniazzi e Federica Barbero, hanno rimarcato che la morte dell’ostaggio non era voluta e per questo hanno chiesto il proscioglimento del loro assistito per “assenza di dolo eventuale”.
Martedì 24 ottobre è arrivato il rinvio a giudizio dei quattro che tutti puntavano ad essere prosciolti già nella fase pre dibattimentale. Ma non è andata così. A pesare sulla decisione della gup Minerva, anche le nuove prove prodotte dal pm secondo cui Latella, Morabito, Calabrò e Talia, avrebbero partecipato al sequestro e omicidio «con apporti causali anche distinti ma comunque convergenti e in attuazione di un comune progetto criminoso». Mazzotti era stata rapita la sera del 1 luglio 1975 fuori dalla sua villa nel Comasco. Era uscita col fidanzato e gli amici a festeggiare la fine della scuola. Stavano percorrendo la strada che porta a Longone al Segrino e si trovavano nel Comune di Eupilio quando la Mini Minor su cui viaggiavano era stata affiancata da una Fiat 125. Dall’auto era sceso solo un uomo armato. La diciottenne, forse per non mettere in pericolo gli amici, aveva cercato di opporsi, ma alla fine aveva ceduto. Al padre, un industriale nel settore dei cereali, era stato chiesto un riscatto di 5 miliardi di lire e dopo un mese l’uomo era riuscito a mettere insieme poco più di 1 miliardo, che aveva pagato ai sequestratori.
Mazzotti era stata segregata a Castelletto Ticino in una buca, con poca aria e scarsa possibilità di muoversi e sembra le fossero state somministrate “massicce dosi di tranquillanti e di eccitanti”. Un mix che era stata la causa della sua morte avvenuta tra il 31 luglio e il 1° agosto di quell’anno. Il 1 settembre del ‘75 una telefonata anonima giunta ai carabinieri aveva suggerito di scavare in una discarica di Galliate e lì, tra i rifiuti ammassati, era stato ritrovato il corpo senza vita. C’è stato un primo processo a Novara che si è chiuso con 13 condanne, di cui 8 ergastoli, a carico dei cosiddetti fiancheggiatori, ma non degli esecutori materiali. Ora il nuovo procedimento, dove il fratello e la sorella di Cristina Mazzotti sono parti civili con il legale Fabio Repici. Visto che non è stato scelto l’abbreviato (in un primo momento gli avvocati di Latella ci avevano pensato), si andrà in aula davanti alla Corte di Assise di Como. Il processo, salvo imprevisti, si aprirà il 24 settembre 2024.
Trovo sia allucinante che si debba aspettare quasi un anno per processare queste persone, sia che siano colpevoli sia che sia innocenti.